Enrico era ancora al calduccio sotto le coperte del suo letto quando sentì sua madre urlare a squarciagola che era ora di alzarsi e andare a lavorare, che lei di figli pelandroni in casa non ne voleva, che il cibo da lui consumato costava più del denaro che riusciva a portare a casa con il suo lavoro, che era uno scansafatiche, ecc...ecc...

Naturalmente Enrico non si lasciava impressionare dall’impegno che sua madre profondeva nel tentativo di svegliarlo, ovvero era già sveglio da un pezzo, ma non aveva la minima intenzione di alzarsi, vestirsi, bere un surrogato di caffè qualsiasi e ricominciare la sua giornata di trasferte di condominio in condominio.

Il suo lavoro consisteva nel recapitare nelle cassette per le lettere dei coloratissimi volantini pubblicitari, lavoro per il quale veniva retribuito in modo del tutto occasionale, soltanto se il volume di affari delle aziende pubblicizzate subiva un discreto incremento. Il responsabile dell’agenzia per la quale Enrico lavorava sosteneva che quel sistema risolveva finalmente il problema della motivazione del lavoratore e rappresentava l’unico modo per incentivarne l’impegno e il miglioramento attraverso l’esperienza. Purtroppo solo raramente le aziende pubblicizzate ammettevano di avere raggiunto un incremento di fatturato dovuto alla pubblicità in buca. Qualcosa, comunque andassero le cose, si guadagnava, e tanto bastava alla madre di Enrico per tentare disperatamente di svegliarlo.

Finalmente Enrico decise di abbandonare il letto accarezzando l’idea di una giornata di lavoro proficua come tutte le altre della sua breve esistenza, convinto di avere davanti a sé una carriera nel campo della pubblicità. E’ vero che per il momento doveva accontentarsi di entrare negli ingressi dei condomini per recapitare dei banali volantini pubblicitari, ma la sua ragazza lavorava in uno studio di grafica pubblicitaria e questo lasciava presagire delle ottime possibilità per il futuro.

Mentre assimilava con calma la colazione che sua madre gli aveva preparato amorevolmente ripassava il percorso che avrebbe dovuto compiere quel giorno. Doveva distribuire almeno centomila volantini in un quartiere decisamente popolare, un quartiere dove nessuno voleva metterci piede, eccetto le persone che ci abitavano dato che non sapevano dove andare a pernottare altrove.

I volantini che doveva distribuire pubblicizzavano i servizi di un salone di bellezza. Sicuramente, secondo l’agenzia, gli abitanti di quel quartiere avrebbero speso fino all’ultimo spicciolo pur di apparire belli come coloro che desideravano emulare, cioè i benestanti. "Poveri ma belli" era il sentimento più diffuso tra la popolazione in generale, considerato che alle elezioni aveva stravinto il partito che più esprimeva gli ideali di chi non deve svegliarsi il mattino domandandosi come farà a sbarcare il lunario.

Enrico raccolse tutto l’entusiasmo di cui era capace e decise di iniziare la sua giornata lavorativa. In un attimo calcolò il tempo che sarebbe stato necessario per recarsi nella zona che gli interessava. Ci volevano almeno due ore, a meno di non essere così fortunato da incontrare qualcuno in grado di dargli un passaggio in automobile.

Purtroppo il tempo non era dei migliori. C’era un sole che spaccava le pietre e l’aria ristagnava come l’acqua di un acquitrino. Lo smog era più gustoso del solito: si appiccicava ai capelli, ai vestiti, persino ai volantini da distribuire. Lo zaino e il carrello carichi di volantini di certo non alleviavano le sue pene. L’istinto gli suggeriva di abbandonare quel carico nel primo cassonetto dei rifiuti e di andare a coricarsi sotto un albero del parco cittadino.

Infine il senso del dovere lo convinceva a proseguire la sua strada puntando decisamente alla meta.

Finalmente incominciò a riempire le cassette di alcuni condomini con i fogli pubblicitari che si portava appresso. Non era sempre facile farsi aprire la porta d’ingresso, ma la sua esperienza lo aiutava con qualche piccola bugia.

Per sua fortuna in quel quartiere le porte erano quasi sempre aperte in quanto scassate, prive di serratura o di vetri. Quello era un quartiere che molti avevano proposto di demolire come unica soluzione per risolvere i problemi che lo caratterizzavano.

Sicuramente distribuirvi la pubblicità riguardante un nuovo modello di pinne griffate era del tutto inutile, ma i pubblicitari avevano delle strane idee...

O forse qualcuno aveva confuso il quartiere "Le vele" con un’associazione di collezionisti di barche a vela...

Enrico cominciava a sentire la fatica della sua giornata lavorativa quando si rese conto di essere seguito da una ragazza che stava facendo il suo stesso lavoro, sennonché distribuiva volantini che pubblicizzavano un nuovo trattamento anticalvizie. Pensò che avrebbero potuto costituire una società e ampliare il loro giro di affari assoldando schiere di ragazzini disposti a lavorare per meno di quanto percepivano loro stessi.

Decise che era proprio il caso di parlarne con quella ragazza.

- Ciao, collega! Per quale agenzia lavori?

- Per la "Felici & Rimbambati"... tu?

- Per la "Contenti & Benfregati"...

- Stavo sfruttando la tua "scia", anche se di porte aperte in questo quartiere se ne trovano parecchie. E’ una vera fortuna che tu non chiuda mai la porta quando esci...

- Qualche volta la chiudo...

- Vuoi che vada un po’ avanti io?

- Davvero gentile... facciamo come al Giro d’Italia... poi una bella volata fino al bar più vicino dove chi arriverà ultimo pagherà da bere...

- Soltanto se il titolare del bar è disposto a farci credito... immagino.

Sandra era una ragazza decisa a fare strada, nella vita... Laureata in psicologia accettava quei lavoretti soltanto per non rimanere in casa a poltrire con un rotocalco tra le mani. Infatti di strada ne stava facendo ogni giorno di più, per incrementare il guadagno non proprio abbondante tipico di quel lavoro.

Grazie alla compagnia di Sandra quella giornata trascorse in un attimo e gli riuscì di recapitare almeno il doppio degli opuscoli che svogliatamente distribuiva da solo. Eppure avevano trascorso parecchio tempo seduti sul primo muretto che gli capitava a chiacchierare di tutto e di niente.

Naturalmente decisero di rivedersi il giorno seguente, in un altro quartiere.

La madre di Enrico quella sera fu contenta di vederlo soddisfatto del suo lavoro. Anzi, il giorno successivo rimase a bocca aperta vedendo suo figlio in cucina prima dell’alba nell’atto di prepararsi la colazione.

Era davvero una bella sorpresa. Chissà, un giorno forse le avrebbe dato tutte quelle soddisfazioni che da sempre sognava... Un buon posto di lavoro, una bella casa, una moglie remissiva, tanti nipotini vivaci...

Enrico quel giorno partì per il lavoro pieno di entusiasmo. Sandra lo aspettava in strada. Nonostante la pioggia battente si avviarono canticchiando verso il quartiere che dovevano visitare.

La madre di Enrico quella sera fu contenta di vederlo soddisfatto del suo lavoro.

Anzi, il giorno successivo rimase a bocca aperta vedendo suo figlio in cucina prima dell’alba nell’atto di prepararsi la colazione.

Era davvero una bella sorpresa. Chissà, un giorno forse le avrebbe dato tutte quelle soddisfazioni che da sempre sognava... Un buon posto di lavoro, una bella casa, una moglie remissiva, tanti nipotini vivaci...

Enrico quel giorno partì per il lavoro pieno di entusiasmo. Sandra lo aspettava in strada. Nonostante la pioggia battente si avviarono canticchiando verso il quartiere che dovevano visitare. Per almeno una settimana ogni giorno si ripeté lo stesso copione: un idillio!

Poi Sandra trovò un lavoro più remunerativo. Come rifiutare? Andò a fare la cameriera in un noto bar di periferia.

Da quel giorno Enrico ritornò ad essere d’umore cupo, scontroso, insoddisfatto.

Sandra lavorava nelle fasce orarie più disparate. Sovente andava ad aspettarla all’uscita per la soddisfazione di salutarla e di augurarle la buona notte.

Intanto continuava a distribuire pubblicità in buca guadagnando sempre meno. Le agenzie non incontravano difficoltà ad affidare l’ingrato compito a schiere di ragazzini desiderosi di guadagnarsi i soldi per acquistare un paio di jeans firmati.

Decise di cercare un posto di lavorio in un bar. Chissà che un giorno non avessero avuto l’opportunità, lui e Sandra, di gestire un bar tutto loro dove avrebbero servito giorno e notte la loro affezionatissima clientela.

La madre di Enrico quando seppe di tale progetto andò su tutte le furie. Le cose stavano finalmente svolgendosi nel migliore dei modi e lui già si dichiarava insoddisfatto del suo lavoro.

Evidentemente non aveva mai distribuito pubblicità in buca.

I giorni seguenti mentre continuava a distribuire volantini chiese a ogni bar che incontrava sulla sua strada se per caso non avesse bisogno di un apprendista.

La maggior parte dei proprietari di bar si dichiarava disposta ad assumere soltanto personale di sesso femminile.

Finalmente riuscì a farsi assumere, naturalmente per un periodo di prova in "nero" presso un bar che si trovava in centro città, in una via un po’ in disparte rispetto al grande traffico di pedoni e automobili, ma dall’aspetto pulito e tranquillo.

Solo durante la sua prima giornata lavorativa si rese conto del fatto che la maggioranza degli avventori di quel locale era omosessuale.

Poco male, pensò, non ho mai pensato male delle minoranze, l’importante è che tengano le mani a posto.

Qualche giorno dopo aveva cominciato ad accettare di buon grado le affettuose pacche di cui lo gratificavano gli affezionati clienti del locale.

All’aumentare delle pacche aumentavano le mance al punto che il titolare del bar non ritenne più opportuno pagargli lo stipendio ritenendo le mance una forma di retribuzione più che adeguata.

Quando Enrico tornava a casa dopo una giornata di lavoro sua madre estraeva i contanti dalle tasche dei suoi pantaloni e si sentiva fiera di avere dato alla luce un così caro ragazzo al quale volevano tutti bene.

Le cose sembravano proprio svolgersi nel senso giusto al punto che Sandra ed Enrico decisero di aprire un conto corrente sul quale avrebbero depositato i rispettivi guadagni in attesa di costruirsi un destino in comune.

Unico elemento di fastidio la difficoltà di trovare qualche minuto di tempo libero in comune per incontrarsi. Quando Enrico era libero il mattino, Sandra era libera nel pomeriggio...

Durante il fine settimana lavoravano entrambi e il giorno di chiusura settimanale dei rispettivi locali naturalmente non corrispondeva.

Di fatto la loro relazione era diventata telefonica. Una vera fortuna l’esistenza dei telefoni cellulari: Sandra infatti lavorava a tempo parziale in tre diversi locali.

Nonostante tutto godevano di buona salute. Addirittura nel tempo libero che non poteva essere occupato in compagnia di Sandra, Enrico continuava a distribuire volantini pubblicitari.

Avevano una ragione di vita e come succede di solito era necessario un modesto capitale per realizzarla.

Un vero peccato che alla prima sindrome influenzale il datore di lavoro di Enrico cogliesse l’occasione per sostituirlo con un ragazzo più in sintonia con lo stile della clientela.

Per Sandra fu una vera delusione. Tuttavia riuscì a procurargli, grazie alle conoscenze acquisite, un posto di lavoro in una bisca di periferia.

Si trattava di servire caffè e superalcoolici agli scompaginati avventori del "Sottotetto": così si chiamava il locale.

Quel lavoro a Enrico non dispiaceva; le mance erano abbondanti e alle prime luci dell’alba gli avventori se ne andavano alleggeriti di gran parte delle loro modeste fortune.

Qualche volta gli toccava fare gli straordinari per giocare con un vecchio sclerotico che non trovava compagni di gioco. I patti prevedevano che nessuno dei due avrebbe onorato i suoi debiti, ma la regola rimase in vigore solo fino al momento in cui il vecchietto, in attivo di alcuni milioni, recuperò la lucidità dei suoi anni migliori.

Enrico dovette nuovamente cambiare lavoro, anzi ritornò alla sua vecchia attività di "volantinaggio". Riprese a svegliarsi malvolentieri, a fare colazione imbronciato, a innervosirsi al minimo contrattempo.

Ciononostante si preoccupava di andare a sere alterne ad attendere alle due della notte la sua compagna all’uscita del bar dove lavorava.

Quando si rese conto di non essere il solo ad attendere Sandra all’uscita decise che era meglio desistere senza farne una tragedia.

Un giorno sì e l’altro no si recava all’agenzia per avere notizie sulle opportunità che offriva il mercato del lavoro, finché gli offrirono un posto di lavoro per tre mesi presso lo studio di un noto commercialista. Naturalmente accettò ben volentieri.

Per tre mesi gli toccò mettere in ordine di data migliaia di fatture per nove, dieci ore al giorno.

Poi ritornò a distribuire volantini pubblicitari.

Una domenica, mentre faceva lo straordinario, incontrò una venditrice di palloncini il cui volto non gli era nuovo: era Sandra.

- Eilà! come mai da queste parti?

- Sto cercando di raggranellare qualche soldo, non vedi?

- Hai deciso di mettere su casa?

- Già fatto, ora mi tocca pagare le spese condominiali, e mi ritrovo pure senza un lavoro fisso.

- E il tuo compagno?

- Andato via... Di questi tempi tutto accade molto velocemente...

- Se hai bisogno di aiuto...

- Grazie, troppo gentile...

- Senza rancore... potremmo dividere le spese... Entro i limiti del mio reddito...

- Sempre meglio di niente... Potrei subaffittarti una stanza!... Quella dove gonfio i palloncini...

- Vedo che la maggior parte è a forma di cuore.

- Sono quelli che vanno di più, dopo i coniglietti...

Quando Enrico ebbe riempito le buche del quartiere che si era prefisso di visitare di Sandra non c’era più traccia.

Due giorni dopo trovò nella buca delle lettere un biglietto con un nome e un indirizzo firmato Sandra.

All’agenzia gli offrirono un buon lavoro a qualche centinaio di chilometri. A sua volta mise nella buca delle lettere di Sandra un biglietto che spiegava il motivo per cui non poteva farsi vedere... bisognava partire in fretta, il lavoro non poteva attendere...

Il biglietto di sola andata gli costò tre giornate di lavoro. Giunto a destinazione ebbe appena il tempo di trovare un letto in subaffitto che era già ora di recarsi al lavoro.

Si trattava di un lavoro banale in una piccola azienda che produceva sacchetti di plastica.

Ciononostante il titolare si preoccupò di osservare che l’agenzia non faceva altro che mandargli degli incompetenti.

Due giorni dopo Enrico era avvezzo a sentirsi chiamare "pelandrone", "scansafatiche" ecc..

Enrico se ne sarebbe andato sui due piedi se non avesse temuto di compromettere la sua reputazione agli occhi dell’agenzia. Dopo undici, dodici ore di lavoro al giorno sabato compreso e domenica mezza giornata gli rimaneva soltanto la forza per dormire. Se per caso gli passava qualche pensiero per la testa se lo scordava subito per evitare guai peggiori.

Sua madre gli inviava sovente dei brevi messaggi sul telefono cellulare per ricordargli che c’era l’affitto da pagare o il conto del macellaio o le sarebbe tanto piaciuto andare dalla pettinatrice.

La madre di Enrico aveva sempre lavorato prima che una grave patologia alla colonna vertebrale la costringesse a compiere soltanto quelle azioni che comportassero uno sforzo minimo.

Nessuno fra i suoi datori di lavoro si era mai preoccupato di assumerla regolarmente.

Eugenia stessa, così si chiamava, aveva sempre preferito incassare qualche soldo in più piuttosto di sapere che una parte della sua retribuzione se ne andava in contributi pensionistici.

Correva l’anno duemila. Parlare di povertà non andava certo di moda, tant’è che persino i poveri si preoccupavano si non disturbare.

Il periodo di lavoro che Enrico doveva trascorrere presso la "Sacchetti ecologici S.r.l." volgeva al termine.

Pagate le spese e acquistato il biglietto per il ritorno Enrico constatò con una certa soddisfazione il pareggio del suo bilancio personale.

Gli ultimi quattrini li aveva investiti in una mortadella, prodotto tipico di quella regione, che intendeva portare in omaggio a sua madre.

La soddisfazione di Eugenia fu grande: non poteva aspettarsi di meglio. Chissà quanti altri figlioli non avrebbero dilapidato i risparmi in un boccale di birra o in un pacchetto di sigarette.

Suo figlio no, quella cosacce non le faceva...

Naturalmente Enrico si recò il più presto possibile all’indirizzo che Sandra gli aveva lasciato.

Purtroppo Sandra non abitava più lì. Una vicina di casa fortunatamente conosceva il suo nuovo indirizzo. Aveva trovato lavoro in un paesino che occhio e croce si trovava a trecento chilometri... Un ottimo lavoro, disse la vicina, in una fabbrichetta di cioccolatini artigianali.

D’altra parte, disse la vicina, era meglio che ne approfittasse finché poteva dato che era incinta e di certo non avrebbe potuto lavorare fino al nono mese e dato che il padre del bimbo non si era più fatto vedere...

Proprio come al cinema.

Sandra le aveva confidato che in fondo aveva sempre desiderato avere un figlio e che se era un maschio lo avrebbe chiamato Enrico.

La vicina aggiunse che secondo lei una così care ragazza non bisognava lasciarsela scappare e lo invitò a scriverle, a tenersi in contatto...

Cosa che Enrico fece senz’altro, non foss’altro che per l’onore legato all’apprezzamento del suo nome.

In realtà Sandra desiderava chiamare così suo figlio in memoria di un suo carissimo amico d’infanzia.

Sperando in una pronta risposta alla sua lettera a Enrico non rimase altro da fare che riprendere a consegnare volantini pubblicitari.

Le giornate trascorrevano noiose più che mai con la speranza di trovare nella buca delle lettere due righe di Sandra.

Circa tre mesi dopo Enrico ebbe la soddisfazione di ricevere la lettera che tanto sospirava.

Sandra sarebbe tornata di lì a pochi giorni con un pancione che le impediva di lavorare. Tuttavia le mancavano i soldi per il viaggio di ritorno, il ginecologo non aveva pietà e in ospedale le attese erano troppo lunghe.

Enrico si preoccupò di farle avere i soldi necessari.

Per farlo dovette rompere il suo vecchio salvadanaio a forma di maialino che faceva bella mostra di sé sulla vecchia credenza.

Quando Eugenia se ne rese conto fu come se il mondo le crollasse addosso. Telefonò immediatamente ai carabinieri per denunciare il furto.

Da qualche tempo infatti una bada di ladruncoli si indaffarava nottetempo in quel quartiere popolare. Da quelle parti l’antifurto non poteva permetterselo nessuno e le serrature servivano a evitare che le correnti d’aria facessero sbattere le porte.

Enrico ebbe il suo bel daffare a spiegare ai carabinieri che bisognava annullare la denuncia.

Dovette presentarsi in compagnia di sua madre alla locale caserma per farsi spiegare che era inutile ritirare la denuncia dato che sarebbe stato necessario un altro verbale... d’altra parte il primo non faceva del male a nessuno...

Eugenia uscì dalla vicenda piuttosto malconcia. Quel salvadanaio in qualche modo le dava sicurezza. Le piaceva immaginare che contenesse una grande quantità di denaro alla quale né lei né suo figlio attingevano per una specie di snobismo.

Sapere che conteneva appena il denaro per il biglietto del treno di un’amica di suo figlio fu una delusione troppo grande per il suo cuore malato.

Il giorno seguente Enrico trovò sua madre morta nel piccolo bagno dell’appartamento.

Per il funerale non c’era alcun salvadanaio di riserva, ma in qualche modo in parrocchia si fece una colletta cosicché anche Eugenia fu accompagnata al cimitero secondo gli usi e i costumi del luogo.

Sandra nel frattempo era tornata, gravida e senza tetto. I suoi genitori erano morti nullatenenti alcuni anni prima in un incidente stradale.

Il caso volle che Sandra ricordasse l’indirizzo di Enrico e che vi si recasse il più presto possibile con la speranza di trovarvi ricovero. In qualche modo avvertiva la debolezza della sua condizione di donna forte, ma senza una lira.

Anche per lei era stato impossibile rosicchiare qualche risparmio da un salario ridotto al minimo indispensabile.

Enrico accolse la sua amica o ex-compagna a braccia aperte: quella casa era troppo grande per lui. La camera di sua madre era così vuota... Lui da sempre era abituato a dormire in cucina. L’idea che presto un bebè avrebbe rallegrato la casa gli faceva immaginare il futuro in modo più ottimistico: dove avrebbero trovato i soldi per mantenerlo?

Il motto di Sandra era: "In qualche modo faremo".

Intanto Enrico partiva ogni mattina con il suo carico di volantini pubblicitari alla volta degli angoli più nascosti della città.

Quando ritornava a casa, la sera tardi, aveva modo di apprezzare la cucina di Sandra, decisamente migliore di quella di sua madre.

Tutto sommato le cose stavano andando per il verso giusto sennonché l’agenzia comunicò a Enrico l’indirizzo della sua nuova missione.

Tre mesi a duemila chilometri di distanza. A differenza delle ultime missioni si trattava di un lavoro interessante: il suo compito principale sarebbe stato navigare tutto il giorno in rete alla ricerca di nuovi siti da catalogare. Vietato rifiutare, naturalmente, poteva essere l’occasione della sua vita.

Al suo ritorno, pensava Enrico, avrebbe trovato la casa piena di vita, con Sandra e il suo bimbo ad accoglierlo a braccia aperte.

Che cosa si poteva desiderare di più dalla vita?

A Enrico proprio non veniva in mente.

Forse non gli sarebbe spiaciuto prendersi cura di un gatto; ma con tutti quegli spostamenti non era proprio possibile.

In alternativa gli sarebbe piaciuto diventare un campione di golf, ma gli mancava la stoffa del campione.

Sandra, quando seppe che Enrico partiva per l’ennesima missione, si preoccupò non poco:

- Credi che io possa rimanere da sola, qui, a casa tua?

- Hai paura del buio?

- No, non vorrei approfittare troppo della tua gentilezza...

- Fa come se non ci fossi... vedrai che andrà tutto bene...

Il giorno dopo Enrico partì in treno per il suo viaggio verso l’altro capo della penisola.

All’interno del vagone si soffriva un caldo tremendo nonostante i finestrini abbassati.

Finalmente, dopo tre giorni di viaggio, Enrico giunse a destinazione.

Una bella cittadina, pensò Enrico, piena di gente indaffarata e di pensionati che vanno al bar a leggere il giornale.

La sede della ditta presso la quale doveva recarsi distava poco dalla stazione ferroviaria. Era una costruzione di quattro piani rivestita di vetrate a specchio. C’era un’entrata su ognuno dei quattro lati: Enrico ne scelse una a caso rendendosi pio conto che tutte portavano a un locale privo di arredamento dove si notavano soltanto le porte degli ascensori.

Una signorina si presentò a Enrico sbucando improvvisamente dal nulla.

Solo qualche giorno dopo un collega gli spiegò che si trattava di un ologramma.

La signorina gli indicò quale fosse l’ascensore che doveva utilizzare per raggiungere il piano al quale si trovava il suo ufficio.

Gli uffici erano tutti uguali: delle stanzette spoglie dove si trovava una scrivania, una poltrona e un computer.

La signorina - ologramma gli spiegò a grandi linee quali sarebbero state le sue mansioni durante la sua permanenza in quell’azienda.

Il lavoro non era difficile: si trattava di compilare un elenco dei "siti" specializzati in articoli casalinghi.

Quale fosse lo scopo di quel lavoro a Enrico non fu dato di sapere...

Eva si preoccupò di insegnargli quattro nozioni circa la "navigazione" dopo di che... sparì!

Enrico si guardò intorno. In un ambiente di siffatta gradevolezza gli si raggelava l’animo.

Se almeno la signorina fosse rimasta ancora un po’... era così gentile... Freddina, ma gentile...

Alcune ore dopo Eva ricomparve per dirgli che, se gli faceva piacere, poteva andare a prendere un caffè nella stanza numero trentadue.

Fu in quella stanza che Enrico ebbe il piacere di percepire la presenza dei suoi colleghi. Aprendo la porta sentì un forte brusio che proveniva da una spessa coltre di fumo di sigarette.

La macchinetta del caffè era presa d’assalto da una banda di impiegati fumanti che tentavano di sfogare il proprio vizio durante i pochi minuti che Eva gli concedeva.

Enrico era piuttosto frastornato dal nuovo ambiente di lavoro... Non riusciva a concentrarsi e non riusciva a utilizzare nel modo corretto la tastiera.

Rispetto alla sua vecchia macchina da scrivere era piena di simboli che aveva visto soltanto su alcuni dei volantini che distribuiva.

Eva gli propose un corso serale intensivo sull’uso della tastiera.

Enrico non se la sentì proprio di rifiutare...

Dopo il corso riuscì a dormire tre ore prima di ritornare al lavoro.

Ci volle una settimana di corso serale per riuscire a utilizzare la tastiera come Eva voleva.

La seconda settimana della sua "missione" si svolse in modo più rilassante nonostante la richiesta da parte di Eva di effettuare almeno un paio di ore di lavoro straordinario ogni giorno.

La concorrenza era spietata, Eva spiegava, nelle altre aziende del settore si lavorava gratuitamente anche quattro, cinque ore al giorno.

Come rifiutare? Eva rappresentava la tecnologia "dal volto umano", era sempre molto gentile, al punto che un bel giorno Enrico si permise di invitarla a cena.

Eva accettò, a patto che nel ristorante ci fossero un buon computer, un modem e quattro proiettori laser. Unico problema: era a dieta, non mangiava niente, ma gli avrebbe tenuto compagnia.

La sera fissata quando Enrico entrò nel ristorante Eva fu subito presente e lo accompagnò al tavolo con estrema disinvoltura, come se fosse casa sua.

"Mica male per un ologramma", pensò Enrico notando che Eva cercava di passare dove il locale era meno ingombro di tavoli e sedie.

Nonostante fosse a dieta non riuscì a trattenersi dall’ordinare una porzione di tiramisù che si limitò a mangiare con gli occhi.

Un po’ per scherzo, un po’ perché era un ologramma Enrico si permise di domandarle di passare la notte con lui.

A sorpresa Eva accettò, a patto che si andasse a casa sua.

- Tu hai una casa?

- Certo, crederai mica che lavori per niente?

La casa di Eva era una stanza multimediale arredata in una casa d’epoca del centro storico.

Eva naturalmente sapeva che cosa si aspettava da lei il suo giovane amico. Quando Enrico arrivò a casa sua l’atmosfera era già particolarmente "calda".

Un profumo intenso permeava l’aria, Eva se ne stava comodamente seduta con indosso un accappatoio e in mano una sigaretta.

Inutile dire che quello che seguì fu lo spogliarello più virtuale al quale Enrico avesse mai assistito.

Lo spettacolo non era del tutto gratuito: gli costava un fine settimana di lavoro anziché di riposo, ma a Enrico quel lavoro non dispiaceva e sperava di essere assunto a tempo indeterminato.

Fu così che per tutta la durata della sua "missione" Enrico lavorò durante il fine settimana.

Quando Eva gli comunicò che il giorno successivo terminava il suo periodo di lavoro in quell’azienda si sentì come se una freccia gli avesse trafitto il cuore. Eva gli sarebbe mancata da morire e glielo disse. Una delusione leggera lo colse quando Eva gli rispose che il programma che la creava era in vendita nei migliori negozi... ne erano già state vendute migliaia di copie.

Un lungo viaggio in treno, una lunga camminata fino a casa sua, il pianto di un neonato che si sentiva in lontananza, l’odore intenso del traffico della sua città, i soliti vagabondi che chiedevano l’elemosina, il sorriso di Sandra che gli presentava il neonato suo omonimo...

- Mica male, carino, ti somiglia abbastanza, dorme di notte?

- Prendi un caffè?

- Ma quanto pesa!

Sandra piangeva per la gioia di rivedere Enrico.

Enrico non avrebbe mai creduto di poter essere così importante per qualcuno... eppoi quella tenera creatura infagottata lo inteneriva...

Un vero peccato non avere portato in dono nemmeno un giocattolino!

Quella sera stessa Sandra presentò a Enrico i conti del macellaio, della latteria, del verduriere, la lettera di sollecito del padrone di casa...

A Enrico venne spontaneamente da chiedersi se per caso non lo avessero scambiato per un individuo che sprizzava soldi da tutti i pori...

Pure le spese condominiali erano in arretrato di un paio d’anni.

"Come risalire la china?", fu il quesito che riguardò entrambi per una quindicina di giorni. Sandra decise che mentre allevava suo figlio poteva ospitare almeno altri due bambini... dietro congruo compenso.

Pubblicati un paio di annunci sul giornale cittadino la casa di Enrico e Sandra risuonò delle risa e dei pianti di quattro pargoletti in tenerissima età.

Enrico fu contattato dall’agenzia per una missione all’estero, per un’azienda che aveva ricevuto l’incarico di costruire un autodromo in mezzo al deserto.

Quando Enrico comunicò a Sandra la novità si verificò una scena commuovente: a entrambi cominciarono a sgorgare dagli occhi grandi lacrime di sconforto.

Era un vero peccato dividere una famigliola che non aveva ancora avuto il tempo di unirsi.

Prima di partire Enrico pronunciò queste parole rassicuranti:

- Vedrai che la prossima volta mi troveranno un lavoro vicino a casa...

Il deserto non era di certo un ambiente al quale Enrico fosse avvezzo. Non era ancora trascorsa una settimana dall’inizio della sua missione che Enrico aveva contratto una febbre persistente che gli impediva di lavorare.

Fu rispedito a casa senza troppi complimenti, anzi con qualche improperio di

accompagnamento.

All’aeroporto l’autorità sanitaria decise di ricoverarlo in ospedale per accertare la natura della sua malattia. Rimase in ospedale per un mese intero durante il quale non guadagnò una lira.

Infine lo rispedirono a casa con una lettera di accompagnamento che gli valse all’aeroporto di destinazione un viaggio in ambulanza per malattie infettive verso un nuovo ricovero ospedaliero.

Quando vi entrò era completamente guarito, ma non ci mise più di un paio di giorni a contrarre un’altra malattia , della quale i medici gli dissero poco o niente con parole che Enrico faticava a comprendere.

Infine, stanco e deperito, fu spedito a casa quasi contro la sua stessa volontà. Proprio non se la sentiva di affrontare le grida giocose dei bimbi...

Quando finalmente rimise piede in casa sua Sandra gli comunicò che lo aveva cercato una certa Eva, che avrebbe richiamato.

Enrico rispose che non la conosceva.